Storia del Carnevale di Ottana
Il Carnevale di Ottana affonda le sue radici in tempi antichissimi e perpetua una tradizione mai interrotta, mettendo in risalto il passato e l’identità culturale della comunità che ha le sue origini nel mondo agro pastorale. Volendo oggi descrivere, più che interpretare, il Carnevale e le sue maschere tradizionali, si può dire che, in occasione delle manifestazioni carnevalesche, vengono riproposte scene della vita quotidiana del mondo contadino. Le maschere descrivono, attraverso spontanee interpretazioni estemporanee che si sviluppano in una sorta di canovaccio, personaggi, ruoli e le innumerevoli situazioni della vita dei campi, quali l’aratura, la semina, il raccolto, nonchè la cura, la domatura, la malattia, la morte degli animali. Il Carnevale costituisce una delle ricorrenze più attese dalla popolazione ottanese che da sempre partecipa in maniera spontanea e s’identifica nella ricchezza culturale e nel profondo senso di appartenenza alla propria cultura. La caratteristica principale del Carnevale è data dalle particolari maschere de Sos Merdules che rappresentano, genericamente, con questo unico termine, le maschere de Sos Boes e di altri animali, quali: Porcos, Molentes, Crapolos. Il Carnevale che con le sue maschere per tre giorni impazza per le vie del paese, a partire dalla domenica di quinquagesima, fino al martedì che precede il mercoledì delle ceneri, inizia in realtà la sera del 16 gennaio, festa di Sant’Antonio Abate, quando, dopo la funzione religiosa che termina con la benedizione del falò (su Ogulone) in piazza, le maschere fanno la loro prima uscita e si radunano intorno al fuoco. È in questa occasione che il sacerdote consegna S’Affuente, un piatto di rame lavorato a sbalzo con motivi decorativi e una scritta in caratteri alemanni (si presume di origine celtica), utilizzato anche durante i riti della Settimana Santa (lavanda dei piedi e per mettere i chiodi che vengono tolti al Cristo il venerdì Santo durante la cerimonia de S’iscravamentu, deposizione dalla Croce). Il piatto diventa uno strumento musicale che percosso verticalmente con una grossa chiave dà il ritmo al ballo tipico di Ottana, l’antico Ballu de S’Affuente. Altri strumenti musicali sono s’òrriu, un cilindro di sughero con la parte superiore ricoperta da un pezzo di pelle di animale dal quale pende una correggia che, intrisa di pece e fatta scorrere all’interno con la mano, produce un suono roco e prolungato che spaventa le bestie e disarciona i cavalieri; su pipiolu, uno zufolo realizzato con canna palustre. Un altro aspetto significativo della tradizione del carnevale è costituto da alcune specialità alimentari tipiche, quali sas gazzas di cui si è già parlato; sas savadas (dolce di formaggio filante ricoperto di pasta, fritto nell’olio bollente e servito con il miele e/o con lo zucchero); sa pasta violada (dolce di pasta lavorata con lo strutto, fritta nell’olio bollente), sas origliettas (dolce di pasta sottilissima tagliata a striscioline, fritto nell’olio bollente e condito con il miele. Inoltre, sos culurzones (ravioli) di formaggio e/o di ricotta, sa galadina (gelatina di carne di maiale) e ancora salsicce, prosciutto, pane carasau, formaggio e vino locale. Storia Il Carnevale di Ottana fondamentalmente affonda le proprie radici nella cultura rurale, di cui mette in scena i momenti più importanti, che rimane il filo conduttore della manifestazione. Questa ha mantenuto una sua particolare originalità rispetto agli altri carnevali barbaricini ed, inoltre, non ha subito sostanziali mutazioni nel corso degli anni, probabilmente, a causa dell’isolamento in cui è vissuto il paese per lungo tempo. La semplice rappresentazione della vita contadina è alla base di questo carnevale che si intreccia con riti antichissimi, dei quali mantiene alcune tracce secondo gli antropologi. Tra questi ultimi in particolare si fa riferimento ad un rito in onore del dio Dioniso, che ogni anno rinasce a primavera risvegliando la terra e la vegetazione, riferibile ai riti apotropaici tipici delle antiche civiltà del Mediterraneo. Le caratteristiche del carnevale ottanese però conducono piuttosto al cosiddetto culto del bove, praticato sin dal neolitico in tutte le società agro-pastorali del Mediterraneo antico, dove il toro era simbolo di forza, vitalità e fertilità. Anche questo rito avrebbe funzione apotropaica e si praticava per proteggersi dagli spiriti maligni e per propiziare la fertilità degli armenti. Se l’uomo, soggiogando e adorando Su Boe, corre il rischio di divenire simile all’animale, il carnevale, mettendo in scena ironicamente l’avvenuta trasformazione, tende ad esorcizzare il rischio che questa diventi realtà nel quotidiano per il contadino. Forse questi riferimenti a riti antichi può trovare conferma nel fatto che, così come riferiscono le persone anziane del paese, le uscite delle maschere tipiche avvenivano, prima del carnevale vero e proprio, oltre che il 16 gennaio, anche in occasione della ricorrenza di San Sebastiano, 20 gennaio ed il 2 di febbraio giorno della Candelora. Ricorrenze che sono un chiaro riferimento ad altri periodi che coincidono con culti pagani.