Carnevale di Polistena

In questa pagina trovate tutte le informazioni sul Carnevale di Polistena. Programma e date, fotogallery, videogallery, la storia del Carnevale di Polistena, link utili e contatti.


Programma del Carnevale di Polistena 2019

Informazioni sul Carnevale di Polistena 2019

Ultimo aggiornamento: non disponibile

Regione: Veneto
Comune: Polistena (RC)
Sito del comune: http://www.comune.polistena.rc.it
Sito ufficiale: http://www.carnevaledipolistena.it
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Foto del Carnevale di Polistena

Carnevale di Polistena

Video del Carnevale di Polistena

Storia del Carnevale di Polistena

Appartenente alla ritualità connessa al Carnevale di Polistena, la maschera o meglio quel pezzo di autentico teatro popolare, rappresenta uno dei punti fondamentali della cultura folkloristica locale. È certo che se è così radicata è probabile che essa preesistesse magari alla cultura urbana e contadina, prima delle sporadiche e superstiti attestazioni che del passato rimangono. Qualche riferimento al modo di celebrare il Carnevale nell’antica Polistena lo si evince, anche se in maniera non ben precisata, attraverso qualche superstite documento della Famiglia Milano, Signori e Feudatari del luogo. Nel loro teatro, eretto nel palazzo di corte, non mancavano in occasione del Carnevale, musiche, balli e recite di commedie per le quali vi era la partecipazione diretta del Principe. Ci piace riportare quanto una breve registrazione di pagamento di uno dei registri mensili di spese e provvisionati restituisce: Febbraio 1730 – A M Vittorio per accomodo di 4 para di calzette ed accomodo del abito di Pulcinella…. Alla data del 20 Febbraio 1759, troviamo un’ulteriore spesa per acquisto di maschere: Pagati al Capitan Borgese per compra di 16 maschere per li signorini…. Nelle stesse pagine e successive troviamo anche ulteriori registrazioni relative alla commedie delli signorini. Evidente, quindi, l’uso della recita in occasione del Carnevale. E lasciando queste brevi e stimolanti attestazioni settecentesche, la documentazione ottocentesca da noi rintracciata, ha caratteristiche varie. La moda del 1855 a Polistena diventa Carnevale, cioè segno di follia, leggendo la poesia del Sac. Vincenzo Rovere: Lu Carnalevari di lu 1855. Nel 1875 troviamo un’elemosina alle maschere che la famiglia del Barone Rodinò concede in occasione del Carnevale di quell’anno. Ma finalmente, per la fine dell’Ottocento, viene fuori un pezzo della più autentica forma di teatro popolare polistenese, raccolto e pubblicato nel 1888 da Apollo Lumini ne: Le farse di Carnevale in Calabria e Sicilia (Nicastro, 1988, alle pp. 37-39). Un contrasto drammatico – così il Lumini – può dirsi una Farsa da dirsi in questi giorni di Carnevale: Due mendichi, cioè marito e moglie, sciocchezza in sestine e in ottave, senza capo e ne coda che io ebbi da Polistena, ma che l’autore, mezzo analfabeta pare tenere in gran conto perchè in fine dà consigli agli attori: Non vi manca modo ma garbatamente dimostratela che bene vi riuscirà. Il marito sciocco e brutto lamentandosi della moglie più brutta di lui, giunge con lei ad un palazzo e chiede la carità al padrone, ma invano; e la moglie dice:…ndindi avimu a jiri / ca chisti genti non fannu caritati, / Hannu l’arma e lu cori cu li pili / E vorrenu mu ndi vidinu abbrusciati / Vasciu a lu mpernu chini di suspiri / e di Caronti spruppati e mangiati…- il marito sciocco vanta la sua furberia e sapienza citando, senza dir quali sieno, sentenze di San Crispino e il Vangelo di San Giovanni; ed enumerando al pubblico le bruttezze della donna e sue: …Non dicu poi pe mia chi m’avant’eu, / portu paura a cù mi guarda puru / A la figura paru Maccabeu, / Pe lu sapiri cu nuju affiguru, / Ndaju la testa comu Melibeu, / Ma però dura cchiù di chistu muru / chi si mi sentarrissivu parrari / Paru nu ciucciu quando vò ragghiari./ - E la moglie, mutando metro, e canzonandolo:…Si sciogghi chija lingua / mi pari Salamuni/ Non chiju lu saputu/ ma lu cchiù stupiduni. / Mi pari chija cani / chi no muzzica, ma baja / Intantu iju si teni / Pe n’angialu di staija./ - La farsa finisce con una esortazione morale. Secondo noi questa farsa potrebbe attribuirsi al poeta dialettale polistenese Giovanni La camera, autore, qualche anno dopo, di una raccolta di poesie che hanno molto in comune con la nostra farsa. A partire dal 1915, troviamo anche testimonianze documentarie di recite che si effettuavano nell’orfanotrofio femminile, sorto dopo il terremoto del 1908. Quest’anno – così il fascicolo n. 27 del 1915 di Gemiti di Madre – nè giorni di Carnevale, queste fanciulle, con l’annuenza dè loro genitori, han voluto dare, nel teatrino dell’Orfanotrofio stesso, delle serate a benefizio delle orfanelle, e sono state felici nel pensare e nell’attuare quest’opera di carità. Le rappresentazioni, i canti, i suoni furono eseguiti in modo ammirabile, e i loro parenti e gli amici delle loro famiglie, accorsero volenterosi non solo per godere di quelle scene, di quelle musiche, di què trattenimenti intellettuali, come disse nel teatro stesso il Sindaco della Città, ma ancora per incoraggiare le buone fanciulle nella loro opera di beneficenza. Il Carnevale, quindi, non solo come occasione di sollazzi e giochi di ogni specie, ma anche come momento di divertimento intellettuale. E Polistena non era avulsa da una certa realtà culturale e teatrale che aveva origini molto remote. La vasta diffusione e la considerevole letteratura sia orale che scritta, a partire dai primi anni del Novecento, ci hanno spinto a svolgere una prima indagine, senz’altro bisognevole di ulteriori ricerche, onde avere una visione per grandi linee di quelli che furono i testi e gli autori della maschera polistenese. I testi, specie quelli del dopoguerra, esorbitando dal contesto della battuta facile, strapparisate, proponevano una satira tagliente per l’ambiente politico. Una tradizione, quindi, che punta al sorriso, al sarcasmo e all’ironia, per denunciare, specie in tempi poco facili, soprusi, fame, miseria ed angherie che il popolo soffriva, a differenza della classe abbiente che navigava, per contro, nei lussi. Le maschere ufficiali o meglio legali, cioè soggette ad una approvazione preventiva da parte della Questura e degli organi autorevoli locali, avvenivano su carri ben addobbati e trainati da buoi che in alcuni stabiliti quartieri tradizionali vi sostavano per dar modo agli attori improvvisati di poter declamare, ognuno nei propri limiti artistici, le parti loro assegnate. In detti punti o quartieri vi era l’usanza di innalzare l’albero della cuccagna, tradizione ben documentata nell’arco del Settecento, consistente in delle pertiche unte di grasso alla cui cima vi erano collocati prodotti alimentari. Colui i quale, dopo vari tentativi, riusciva a raggiungerli se ne impossessava, offrendo alla propria famiglia l’occasione di un buon Carnevale. Evidente come la fame non aveva ostacoli. A questa fame non era certo sufficiente il sussidio del Comune che, nel 1876, secondo quanto si evince da una delibera del 28 febbraio, concedeva £. 25, su proposta del Sindaco Presidente che così motivava: …che per cura di molti cittadini si ebbe l’idea filantropica di fare una elargizione di elemosine ai poveri e famiglie bisognose per soccorrerli nel presente Carnevale soggiungendo che il Comune è la prima famiglia la quale deve dare l’esempio di carità cittadina. Il Novecento offre, come dicevamo, la possibilità di documentare cronologicamente le varie maschere recitate sui carri o casa per casa da giovani mascherati. Queste ultime si integravano con le maschere ufficiali. Resta ancora oggi una significativa traccia di tale usanza, nell’espressione indigena: Riciviti mascari?. A questa richiesta, solo alcune famiglie provate da lutti o altro rispondevano negativamente, mentre tutte le altre accettavano che le recite, in dialetto, fossero rappresentate da questi attori ambulanti che, in cambio, ricevevano carne di maiale, salsicce, polpette ed abbondante vino. Questo era possibile, sempre nei limiti delle facoltà familiari, mentre anche i poveri non rinunciavano a questa evasione annuale se è vera quell’altra espressione dialettale polistenese: Di l’ardaloru cu non ndavi carni si pigna u figghiolu. E tornando alle maschere o meglio ai titoli di queste, non possiamo esimerci dall’ elenco di esse, da cui si evince anche il nome dell’autore, l’ano dio esecuzione ed altro.

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